mercoledì 24 dicembre 2014

CINEMATICO: BIG HERO 6

Ancora una volta Disney non sbaglia.
Con il suo secondo film sui supereroi (dopo Gli Incredibili) riesce a entrare di nuovo nel cuore della gente, sia grandi che piccoli, sviluppando una storia emozionante e vincente.

Al di là delle solite tematiche che la casa di produzione ama trattare (amicizia, famiglia, speranza...), il prodotto si rivela ben riuscito senza annoiare con situazioni già viste.

I personaggi sono ben scritti e l'amabile Baymax conquista con la sua ingenua simpatia e la sensibilità robotica, mentre scopre il mondo e comprende pian piano il cuore degli uomini, specialmente del suo "paziente" Hiro, il ragazzino prodigio che lo ha riattivato.

Interessante da notare è l'attenzione nei confronti della fisicità, soprattutto femminile, che qui non si ferma a un solo modello, ma varia le altezze, le taglie e le forme, a differenza di Frozen, per citare l'ultimo.

La scienza viene mostrata attraverso l'occhio entusiasta dei "nerds" da laboratorio, come vengono definiti nel film, e quindi come realmente è, ovvero la materia delle scoperte, della meraviglia, della fantasia di nuove soluzioni e scoperte, dove circuiti si incastrano per creare tecnologie incredibili e atomi invisibili a occhio umano si fondono per realizzare ciò che siamo e che ci circonda, e non è più la materia noiosa e rigida, studiata da persone tediose e tristi come in molti pensano.

San Fransokio (già il nome dice tutto) ospita un'amalgama fra manga e marvel, come si vede anche nelle scelte stilistiche nel disegno, cogliendo il meglio dei due generi e creando un mondo assurdamente credibile, dove la cultura giapponese si fonde a quella americana. I celebri tram di San Francisco corrono fra pagode e grattacieli, mentre il Golden Gate Bridge ottiene le decorazioni tipiche della cultura nipponica.

La storia emoziona e lascia con il fiato sospeso, muovendo a sbalzi d'umore lo spettatore, fra divertimento, tristezza e suspence, lasciandolo soddisfatto alla conclusione di quella girandola.

Consigliato a tutti.

domenica 14 dicembre 2014

CINEMATICO: MAGIC IN THE MOONLIGHT

Stanley Crawford, conosciuto dal pubblico come l'illusionista Wei Ling Soo, ha conquistato fama grazie alle proprie abilità di prestigiatore e all'attività di cacciatore di finti medium. Ed è proprio in questo ruolo che viene invitato dal suo amico, l'unico a cui è riuscito a legarsi a dispetto del proprio carattere scorbutico e pessimista, a recarsi in una villa nel sud della Francia. Una giovane donna ha infatti conquistato le simpatie di una ricca famiglia grazie ad evocazioni e percezioni psichiche e Stanley riceve la nuova sfida di smascherarla, anche se potrebbe essere più difficile di tutti i precedenti casi da lui affrontati.

La storia si snoda fra l'agiata borghesia degli anni '20, dove i problemi sono pochi, ridotti a scappatelle amorose e a viaggi esotici, fra feste e ville immerse nel verde. La leggerezza di quella parte della società influenza tutto il corso della pellicola, durante la quale la narrazione scorre senza scossoni e si adegua alla visione rigida del protagonista, incastrando ogni pezzo con perfezione meccanica, ma comportando inoltre una esagerata lentezza, anche rispetto agli standard di Allen.

Temi già trattati più volte dal regista, come le menzogne, la gioia di vivere, la scelta, si sviluppano sullo sfondo della magia e dell'occulto, anch'essi già fin troppo sfruttati (ricordiamo Scoop, La Maledizione dello Scorpione di Giada, Incontrerai l'Uomo dei tuoi Sogni... E molti altri). Rinuncia alla novità, Allen, per il "già visto", per argomenti già digeriti da tempo dal pubblico, che deve accettare il passato "perchè è Woody Allen".
Nel frattempo però, in un film definito commedia romantica, quel che manca è proprio l'emozione, dettaglio decisamente insignificante, certo. Anche quando i protagonisti sembrano provare sentimenti forti, non convincono mai del tutto.
Almeno due risate riesce a strapparle, con lo humour che lo caratterizza sempre per la spietata visione della realtà e il cinismo nei confronti della vita e della società.

Note positive sono il cast, con il molto british Colin Firth nei panni di Stanley Crawford, elegante e ragionato nella veste di pessimista incallito, amante di Nietzsche, e Emma Stone, ovvero Sophie la veggente, dolce e sagace, che rialzano le sorti del film, e la fotografia.
Vetture scoperte sfrecciano sulle strade della Francia, a strapiombo sul mare blu e azzurro e circondate da vegetazione lussureggiante, illuminata dal sole caldo, creano un paesaggio suggestivo, un sogno luminoso e limpido.
Per lo meno resta questo a togliere il fiato.