venerdì 27 novembre 2015

CINEMATICO: SPECTRE

James Bond è da molto tempo nella cultura di massa la spia per antonomasia, il simbolo ereditato dalla Guerra Fredda e che ancora oggi svolge il suo ruolo nell' immaginario collettivo, con belle macchine, completi impeccabili e l'immancabile femme fatale sempre perfetta al fianco.

Spectre cade oggi forse nel tranello di un personaggio legato a una notorietà e a un'immagine così ben definite, dove la fama ha un ruolo molto importante.
La trama e la sceneggiatura si sono adagiate nella sicurezza di un ruolo ormai già confezionato, senza cercare compattezza e visione di insieme, logica e novità. Per quanto si sia cercato di connettere gli ultimi film in un progetto unico, realizzando un filone narrativo che ultimasse in Spectre, nel quale risiederebbe la soluzione alle vicende inaugurate in Casino Royale, l'intento è andato perduto, scadendo in una conclusione banale e non soddisfacente.
Situazioni ormai viste e riviste nel genere e battute a effetto già sentite si spendono nel donare deja-vu allo spettatore, fino a rendere incredibilmente semplice prevedere il corso degli eventi.

La nemesi di James si muove con disinvoltura, comparendo come sempre dal nulla, ma senza mai dare una vera spiegazione riguardo ai propri obiettivi, formulando concetti su connettività, controllo e comunicazioni, ma fermandosi lì, quasi come se nemmeno lui avesse idea di come sfruttare quel che possiede. Intanto però tutto scompare davanti alla possibilità di uccidere 007, attività nella quale all'improvviso riconquista tutta la fantasia mai sfruttata per la creazione del piano malvagio.

La figura del villain per fortuna si salva grazie alla personalità forte di Waltz, che sfrutta la sua esperienza in questo tipo di ruoli magistralmente e con freddezza calcolatrice.
Anche Ralph Fiennes si trova bene nei panni di M, a sostituzione di Judi Dench, volto ormai storico della serie, per la serietà e professionalità inglese che lo contraddistingue sempre. Infine, menzione speciale per Andrew Scott, famoso per il ruolo di Moriarty in Sherlock, che in personaggi simili trova il proprio terreno di gioco ideale.

A salvare una storia fiacca, accorre la regia di Sam Mendes, dalle riprese ben costruite, apprezzabile fin dai primi minuti, con un piano sequenza iniziale magistrale, che coinvolge fin da subito e donando una lunga scena di festeggiamenti da giorno dei morti messicano. Le immagini scelte e le locations sono meravigliose, dai colori vividi e forti, definiti e vibranti, fra ambienti diversi, natura elegante e città immortali.

Sam Mendes è quindi la salvezza del film, regalando lo spessore di cui la sceneggiatura avrebbe avuto bisogno, ma a cui ha rinunciato troppo facilmente.